NORCIA / IL DESTINO DIMENTICATO DEL TEMPIO DELLA MADONNA DELLA NEVE E DI CASTEL SANTA MARIA
«A giudizio di persone assai instrutte in fatto di belle arti, tiensi mirabilissima l’architettura di quel Tempio di forma ottagona all’esterno, e nell’interno a croce greca; né manca chi avvisi essere il disegno della Scuola del Bramante. V’ha nell’interno non spregevoli pitture eseguite dall’anno 1570 al 1576 da’ fratelli Camillo e Fabio Angelucci del Castello di Fematre ora in quel di Visso. […] Né può contrastarsi, che in vederlo se ne ritragga una impressione gratissima, ed è fuori di dubbio che un sommo Architetto ne abbia fatto il disegno e diretta l’opera». Sono queste le parole che Feliciano Patrizi-Forti, nella sua opera “Delle memorie storiche di Norcia”, scrisse a proposito della chiesa dedicata alla Madonna della Neve (Fig. 1), edificata nel 1565, in una piccola valle erbosa nascosta tra i desolati rilievi montuosi che chiudono a meridione la Piana di Santa Scolastica, dove sorge la città di Norcia. In quella valle, infatti, aveva avuto luogo un miracoloso accadimento, come ci racconta lo stesso Patrizi-Forti:«Si narra per tradizione che sul luogo in cui fu edificato il bellissimo Tempio, un passaggiero (facendosi forse riparo di qualche tronco d’albero alla bufera che infuriava) rimanesse ricoperto dalla neve cadente in gran copia; e che gli abitanti del vicino Castello, avvistisi dell’accaduto, solo dopo tre giorni riuscirono con grandi lavori di zappe e pale a rimuover la enorme quantità di neve ammonticchiata in quello stesso luogo, ove contro ogni loro espettazione trovarono ancora in vita il passaggiero che diceva d’esser stato liberato da tanto paurosa situazione per miracolo delle Beata Vergine di Collefìtto alla quale erasi fervidamente raccomandato. Questo stesso abbiamo letto presso a poco in un antico manoscritto che si conserva nell’Archivio della Chiesa della Madonna della Neve».Quel tempio, dalla «mirabilissima architettura», aveva attraversato la storia, resistendo ai terribili terremoti che, più volte, avevano flagellato quel territorio così aspro e meraviglioso. Ma, la sera del 19 settembre 1979, quel prezioso edificio non fu in grado di resistere al nuovo sisma che venne ad abbattersi su Norcia. Crollò (Fig. 1b), sbriciolandosi tra la polvere e le pietre della volta che rotolarono ovunque, lacerando i raffinati affreschi. Da allora, quelle mura si levano, mute e abbandonate, nella piccola valle circondata d’ogni lato dai monti e dai boschi deserti (Fig. 2 e 3).Camminare accanto a quelle rovine significa immergersi in un silenzio carico di amara aspettazione per una ricostruzione che mai ha avuto luogo, e che quasi certamente mai più avverrà (Fig. 4, 5, 6, 7). Tutto parla di abbandono, di incurante disinteresse; di elementi mirabilmente scolpiti (Fig. 8) che, agli occhi di molti, sono evidentemente apparsi come semplici, inutili pietre, da lasciare lì, a terra, tra le erbe spontanee: quelle stesse pietre che, con ben altra commozione, furono posate, ci racconta il Patrizi-Forti, dai più importanti rappresentanti delle autorità comunali ed ecclesiastiche, in quel lontano giorno del 13 ottobre 1565: «[Della Madonna della Neve] se ne gittarono i fondamenti, e pose la prima pietra il detto Tibaldeschi Vicario Foraneo del Vescovo di Spoleto; pose la seconda il Rendo. Don Gio. Battista Seneca Pievano della Chiesa di S. Maria della Plebe di questa Città; pose la terza l’egregio Bartolomeo Ranieri capo del nursino Magistrato…».E poi, gli affreschi pregiati, malamente protetti con squallide vetrate; immagini, però, i cui colori rilucono ancora, tra le crepe e i distacchi dell’intonaco (Fig. 9, 10, 11, 12), come se tentassero ancora di parlare, di raccontare le proprie storie, di narrare gli episodi santi dei Vangeli. Ma nessuno è lì, oggi, per ascoltarli.Condivide questo destino, la Madonna della Neve, con il vicino insediamento di Castel Santa Maria: non tanto, però, con le nuove, fredde, moderne casette a schiera che erano state costruite sul colle adiacente, a settentrione, dopo il terremoto del 1979 (Fig. 13), oggi nuovamente danneggiate dal sisma del 2016, come per una nemesi senza fine.Per cercare il vecchio Castel Santa Maria, occorre volgere lo sguardo nella direzione opposta, a meridione, verso l’altro colle (Fig. 14), più elevato, che sembra costituire la propaggine delle montagne di maggiore altitudine che, come il successivo Monte Alvagnano, proseguono il loro scosceso cammino verso i disabitati confini tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie. È su quel colle, infatti, che sorgeva l’antico abitato di Castel Santa Maria, all’epoca frazione di Norcia (oggi di Cascia). È lì che, seguendo la fascia boscosa che si arrampica sul fianco dell’elevazione, seguendo il vecchio sentiero di accesso al paese, si può arrivare a ciò che le mappe indicano ancora con la dicitura “Castel Santa Maria (rovine)” (Fig. 15).Sì, perché anche il piccolo borgo di Castel Santa Maria – citato nel 1587 da Monsignor Innocenzo Malvasia, visitatore apostolico inviato in Umbria da Papa Sisto V nella sua “Relatione de la Prefettura de la Montagna”, come paese di «mulattieri e fienaroli», in seguito devastato dal terribile terremoto del 14 gennaio 1703 e descritto da Monsignor Pietro de Carolis nella sua “Relazione generale” come «distrutto», con «anime num. 75, morti n. 25, chiese dirute num. 2» – subisce, nel settembre del 1979, il medesimo fato del tempio della Madonna della Neve.Quella scossa di fine anni 1970, di magnitudo 5.9 e il cui epicentro venne a collocarsi a soli due chilometri più a sud della piccola frazione, ne provocò nuovamente la distruzione, determinando la definitiva inabitabilità del sito: come riportato in un articolo scientifico del 1980 (Favali et al. “Il terremoto della Valnerina del 19 Settembre 1979”), metà delle case, in maggioranza vecchie o mal ristrutturate, fu oggetto di crolli parziali; l’altra metà subì comunque gravi danni, come visibile anche in una fotografia riportata in un articolo di Fabio M. Dalla Vecchia pubblicato nel giugno 2009 (Fig. 16). Come ricordato da Romano Cordella nel suo articolo del 1981 “Visita ai centri del Nursino colpiti dal terremoto”, la piccola chiesa parrocchiale subì il crollo pressoché totale di tutte le strutture interne e dell’abside, mentre l’adiacente campanile venne completamente distrutto. E una rarissima immagine, contenuta nel citato articolo di Favali, testimonia del fatto che il fianco della collina sul quale la frazione sorgeva stava scivolando a valle, con uno smottamento del terreno provocato dal terremoto (Fig. 17).L’insediamento originario di Castel Santa Maria fu dunque abbandonato dai suoi abitanti. Ma cosa ne rimane, oggi?Nel cercare i resti di quella che fu la piccola frazione posta a poche centinaia di metri dal tempio dedicato alla Madonna della Neve, occorre lasciarsi alle spalle le rovine dirute del tempio e cercare, sul fianco della collina, il tracciato del sentiero che saliva verso quelle case ormai abbandonate. Eppure, qualcosa di strano salta subito all’occhio.Quel sentiero esiste ancora. Ma è talmente inutilizzato e abbandonato che risulta essere non solo quasi invisibile, ma anche praticamente impercorribile, invaso come è da rovi e arbusti, come se l’unica frequentazione fosse quella da parte degli animali selvatici: una condizione non certo usuale per un sito comunque plausibilmente meta di brevi visite ed escursioni. Nessuna traccia di edifici. Solamente, tra alberi ed erbe, alcune mura di pietra avviluppate dalla verzura assai rigogliosa (Fig. 18), e tracce di pericolosi vani sotterranei, dalle pareti interne ancora intonacate, probabilmente cantine (Fig. 19). Nulla di più.Dove è finito il paese di Castel Santa Maria?La risposta ci viene fornita dalle fotografie satellitari, e da un frammento di informazione presente nel database dell’INGV.Nelle immagini satellitari (Fig. 20), sono effettivamente visibili le tracce quadrangolari delle fondazioni degli edifici di Castel Santa Maria. Ma, quegli edifici, non ci sono più. Che fine hanno fatto?Un ulteriore elemento atipico ci viene fornito dalla strada carrabile, anch’essa totalmente abbandonata, intagliata nella roccia del colle nel versante opposto rispetto alla posizione della piccola frazione sparita (Fig. 20, 21, 22). Una strada – apparentemente – del tutto inutile, visto che duplica l’antico sentiero che permetteva, sin da tempi antichissimi, l’accesso all’insediamento, conducendo fino alla cima del colle e lì terminando nel nulla.È la banca dati dell’INGV a sciogliere l’enigma: il paese di Castel Santa Maria, «completamente abbandonato dagli abitanti», «fu raso al suolo nel 1994 per motivi di sicurezza». Stava crollando a valle, probabilmente assieme a una parte del versante della collina. E quindi i suoi edifici, già semidistrutti, furono abbattuti. E le macerie completamente rimosse, e ricoperte di terra.Ecco, dunque, il perché di quella nuova strada, in apparenza inutile: essa fu utilizzata, con grande probabilità, per accedere alla cima del colle, senza transitare attraverso la vecchia strada minacciata dai molti edifici pericolanti, permettendo così alle ruspe di abbattere dall’alto le case danneggiate e di trasportare via il materiale.Questa, dunque, la storia di Castel Santa Maria e della chiesa della Madonna della Neve. Una storia di terremoti e distruzioni, culminati con il definitivo abbandono di entrambi i siti dopo il sisma del 19 settembre 1979. Un destino malinconico e triste, per le due opere dell’uomo, sulle quali la Natura, purtroppo, ha potuto esercitare una distruzione finale e terribile.Una Natura che, proprio in quelle zone, aveva già dato prova della propria grande capacità di devastazione, se solo ricordiamo l’agghiacciante testimonianza contenuta nella “Relazione generale” vergata da Monsignor Pietro de Carolis dopo il potentissimo terremoto che ebbe luogo nel 1703, con una magnitudine stimata pari a un quasi inconcepibile 6.9, e il cui epicentro parrebbe essersi collocato a quattro chilometri in direzione ovest rispetto a Castel Santa Maria, secondo le moderne stime INGV.Ed ecco le impressionanti parole scritte, all’epoca, da de Carolis (Fig. 23):«Ho riscontri certi, che la vicina Montagna detta Alvagnano presso la Civita di Cascia per un buon miglio e mezzo di longhezza, e quattro canne di larghezza siasi divisa, et un altra nel ingresso de confini di Regno chiamata Monte Corno aperta quasi in pari distanza, mi vien riferto esali anche un sulfureo fetore, e qui si osservano in più luoghi vestigia di voragine».Alvagnano. La grande montagna, alta 1665 metri, che costituisce la prosecuzione verso sudest della stessa linea allungata disegnata dal colle di Castel Santa Maria. Lungo una delle pericolose linee di faglia che marcano questa porzione, aspra e quasi disabitata, dell’Appennino. Fratturazioni parallele alla grande dorsale montuosa, che segna il confine tra la placca eurasiatica e la placca adriatica, in perenne allontanamento reciproco, e la cui continua distensione provoca, nei secoli e nei millenni, devastanti terremoti (come descritto in dettaglio nel mio articolo “Monti Sibillini, la leggenda ctonia”, 2020).Ed eccolo, il Monte Alvagnano, osservato dalla vetta del colle di Castel Santa Maria (Fig. 24): la montagna che, il 14 gennaio 1703, si spaccò per un miglio e mezzo di lunghezza.Questo, quindi, è lo scenario in cui devono essere collocate le vicende della chiesa della Madonna della Neve e del vicino insediamento di Castel Santa Maria. Entrambi, oggi, non esistono più: quasi completamente cancellati dalla sovrumana potenza dei terremoti, il ricordo della loro storia e del loro destino sta ormai svanendo dalla mente degli uomini, e dallo stesso spazio fisico. Ed è importante, invece, mantenerlo vivo. Per non dimenticare (Fig. 25).
Fonte Michele Sanvico Facebook 09/08/2020
Chiesa della Madonna della Neve
Castel S. Maria – Norcia
Terremoto 1979